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Con riferimento al diritto d’impresa, la Suprema Corte, con l’ordinanza del 6 febbraio 2023, n. 3503 è intervenuta nuovamente in tema di contratto valido ma sconveniente, ossia con riguardo a tutte quelle ipotesi in cui le parti, prima della conclusione del contratto, pongano in essere comportamenti scorretti che sfociano in un contratto valido ma iniquo, ovvero con riferimento a quei casi in cui le trattative, seppur validamente concluse, abbiano comunque ingenerato un danno a discapito di una dei contraenti, per effetto del comportamento sleale dell’altra parte.
In particolare, con la pronuncia richiamata, i giudici di legittimità si pongono in linea con un precedente orientamento espresso dalle stesse Sezioni Unite (Cass. Sez. Un. 19 dicembre 2007, n. 26725) secondo cui l’art. 1337 c.c. rappresenta una norma generica e di chiusura del sistema e deve essere applicata non solo ai casi di trattative infruttuose, ma anche nell’ipotesi di trattative fruttuose ma inique.
La responsabilità per contratto valido ma sconveniente nel diritto d’impresa
Nel diritto d’impresa, in conformità con la generale tendenza ad ampliare l’operatività della responsabilità precontrattuale, la Suprema Corte, con la pronuncia del 6 febbraio 2023, n. 3503, ha affermato ancora una volta che la responsabilità precontrattuale non va considerata come un insieme chiuso di ipotesi sanzionatorie predeterminate, bensì come uno strumento flessibile per sanzionare comportamenti scorretti anche in presenza di un contratto valido ma svantaggioso, concluso a causa di una condotta sleale che non si traduca in dolo ma in un comportamento non conforme a buona fede.
Pertanto, richiamandosi anche alla teoria del contatto sociale e ai conseguenti obblighi di protezione, la circostanza che il contratto sia stato validamente concluso non è di per sé decisiva per escludere la responsabilità dell’altra parte, qualora a questa sia imputabile (sulla base di un accertamento di fatto), l’omissione di informazioni rilevanti, nel corso delle trattative, le quali avrebbero altrimenti, e con un giudizio probabilistico, indotto ad una diversa conformazione del contenuto del contratto.
Secondo quindi la pronuncia richiamata – che si pone in contrasto con un altro orientamento secondo cui invece la responsabilità precontrattuale non sarebbe ravvisabile nel momento in cui il contratto viene comunque concluso – anche nel diritto d’impresa, è irrilevante che la violazione del dovere di buona fede sia avvenuta cronologicamente prima o dopo la conclusione del contratto stesso, a meno che non vengano dimostrati ulteriori danni che sarebbero collegati a tale comportamento da un rapporto consequenziale diretto.
Quando il danno deriva da un contratto valido ed efficace, ma sconveniente il risarcimento, pur non potendo essere commisurato al pregiudizio derivante dalla mancata esecuzione del contratto posto in essere (ossia, appunto, al c.d. interesse positivo), non può neppure essere determinato avendo riguardo all’interesse della parte vittima del comportamento non conforme a buona fede a non essere coinvolta nelle trattative. In tal caso, il contratto è stato validamente concluso, sia pure a condizioni diverse da quelle alle quali esso sarebbe stato stipulato senza l’interferenza del comportamento scorretto.
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