La Cassazione, con l’ordinanza del 5 agosto 2024, n. 21997, ha confermato ancora una volta, il principio secondo cui, nell’ipotesi in cui sussista un concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite, il trattamento di reversibilità deve essere ripartito ponderando il criterio principale della durata dei rispettivi matrimoni, con quelli correttivi, eventualmente presenti, della durata della convivenza prematrimoniale, delle condizioni economiche, dell’entità dell’assegno divorzile.
In linea con la finalità solidaristica dell’istituto in esame e in conformità con l’orientamento soprarichiamato, la Suprema Corte ha specificato che occorre tenere in considerazione anche il periodo di convivenza prematrimoniale coevo al periodo di separazione che precede il divorzio, ancorché in detto lasso temporale permanga il vincolo matrimoniale. Infatti, la ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei matrimoni, ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell’istituto, tra i quali rientra anche la durata delle convivenze prematrimoniali.
In linea con la tendenza ad attribuire sempre più rilevanza alla convivenza more uxorio, si riconosce quindi a quest’ultima non una semplice valenza “correttiva” dei risultati derivanti dall’applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensì un distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato dimostri la stabilità nonché anche l’effettività della comunione di vita prematrimoniale, tenendo tuttavia distinta la durata della convivenza prematrimoniale da quella del matrimonio – cui soltanto si riferisce il criterio legale -, e senza individuare nell’entità dell’assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all’ex coniuge, posta l’assenza di qualsiasi riferimento legislativo in tal senso.