Il regolamento UE 1116/2011 in materia di etichettatura si applica agli alimenti preimballati, ossia ai prodotti imballati e destinati al consumatore finale, sia nell’ipotesi in cui il bene venga acquistato dal consumatore stesso direttamente, sia nel caso in cui venga offerto nell’ambito, per esempio, di mense o scuole.

Per quanto concerne il campo di applicazione del nuovo regolamento, occorre osservare come ai sensi dell’art. 2 par. 2 lett. e) si intende per prodotto «preimballato», «unità di vendita destinata ad essere presentata come tale al consumatore finale ed alla collettività, costituita da un alimento e dall’imballaggio in cui è stato confezionato prima di essere messo in vendita, avvolta interamente o in parte da tale imballaggio, ma comunque in modo tale che il contenuto non possa essere alterato senza aprire o cambiare l’imballaggio; “alimento preimballato” non comprende gli alimenti imballati nei luoghi di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per vendita diretta». In altre parole, se le disposizioni in esso contenute si applichino ai c.d. alimenti preimballati, ossia prodotti avvolti completamente da un imballaggio e destinati ad essere consumati dal consumatore finale, si esclude dal campo di applicazione della predetta normativa tutti i prodotti che vengono confezionati nei punti vendita e venduti in un preincarto. La dottrina ha osservato come detta previsione sia stata oggetto di forti critiche atteso che crea una ingiustificata disparità di trattamento tra prodotti confezionati a livello industriali e posti in vendita come tali e prodotti confezionati sul punto vendita e venduti al consumatore con informazioni assai più ridotte. Si è altresì specificato come «La deroga prevista, di fatto, a favore della grande distribuzione mal si spiega alla luce dei principi fissati dall’art. 8 del regolamento in tema di responsabilità: l’operatore della grande distribuzione è tenuto a bloccare la distribuzione di un alimento, prodotto da altri, in relazione al quale abbia dubbi sulla conformità all’etichetta, ma non ha alcun obbligo di informare il consumatore su caratteristiche e identità del prodotto pre-incartato sul suo punto vendita».

L’art. 9 del regolamento indica quali sono le informazioni che debbono essere obbligatoriamente riportate nell’etichetta. Dall’analisi della predetta disposizione emerge come, il precedente art. 3 della Dir. 2000/13/CE sia stato modificato in relazione alle indicazioni sui valori nutrizionali e sul luogo di provenienza dell’alimento. Con riferimento al primo aspetto, le informazioni nutrizionali erano obbligatorie solamente nelle ipotesi di claims nutrizionali; in forza dell’art. 4 della Dir. 90/496/CEE, il produttore poteva scegliere tra due differenti formati di etichettatura nutrizionale ed in particolare un primo schema concernente quattro informazioni (valore energetico, quantità di proteine, carboidrati e grassi) oppure un altro schema relativo ad otto informazioni (valore energetico, quantità di proteine, carboidrati, zuccheri, grassi, acidi grassi saturi, carboidrati, zuccheri, proteine e sale) che, al fine di consentire una comparazione tra beni appartenenti alla medesima categoria, dovevano essere riportate in relazione ai 100g/100ml di prodotto. Il numero delle informazioni nutrizionali ritenute necessarie è stato modificato con il nuovo regolamento ai sensi del quale occorre indicare i seguenti parametri: valore energetico, quantità di grassi, acidi grassi saturi, carboidrati, zuccheri, proteine e sale. Seppure in sede di discussione del regolamento era stato proposto di introdurre informazioni nutrizionali concernenti la singola porzione (l’accoglimento della predetta soluzione, oltre a porsi in linea con quanto previsto in altri ordinamenti (per esempio, quello statunitense) avrebbe potuto condurre a soluzioni maggiormente comprensibili per il consumatore), il regolamento stesso ha conservato il riferimento ai 100g/100ml. Le informazioni nutrizionali concernenti le singole porzioni rimangono volontarie anche se sono soggette a maggiori vincoli. Inoltre, data la sempre crescente attenzione verso la salubrità dell’alimentazione, si è attribuita alla Commissione il potere di adottare relativamente all’indicazione nutrizionale per porzione, specifiche discipline per categorie di alimenti (art. 3 par. 4 del nuovo regolamento).

Rispetto alla precedente normativa in materia di etichettatura, il regolamento ha ampliato l’obbligo di indicazione del luogo di origine o di provenienza degli alimenti; difatti, la Dir. 2000/13/CE prevedeva l’obbligo di indicazione del luogo di origine di un alimento esclusivamente nell’ipotesi in cui l’omissione di tale informazione avrebbe potuto trarre in errore il consumatore con riferimento all’origine o alla provenienza effettiva del prodotto. Il tema concernente l’indicazione della provenienza degli alimenti è stato oggetto di diverse discussioni che hanno condotto a tentativi di legislazione che, tuttavia, non sono stati portati a compimento. Inoltre, occorre considerare che, se per un verso, la richiesta relativa alle indicazioni del luogo di provenienza degli alimenti e degli ingredienti risponde all’esigenza di trasparenza dei prodotti alimentari, per altro verso, detta richiesta incontra evidenti difficoltà nella sua applicazione pratica. Nello specifico, la prima difficoltà che incontra il consumatore nel conoscere dettagliatamente la storia del bene alimentare preconfezionato rientra nelle caratteristiche proprie della produzione industriale di massa; la maggiore parte delle filiere alimentari si basano su materie prime che vengono da luoghi differenti e che – si pensi, per esempio, ai prodotti di origine agricola – possono cambiare la loro provenienza nel corso dell’anno. In altri termini, l’indicazione dell’origine dei singoli ingredienti di un prodotto alimentare potrebbe non essere agevole, soprattutto qualora si tratti non già di prodotti di nicchia, bensì di beni di massa, atteso che lo stesso operatore potrebbe essere costretto a cambiare dette indicazioni nel corso dell’anno.

Inoltre, il secondo ostacolo concernente l’indicazione del luogo di provenienza degli alimenti è relativo alla definizione di origine e provenienza di un alimento ed ai possibili conflitti tra normativa in tema di etichettatura e altre discipline come quelle doganali. Sulla base dell’art. 24 del codice doganale comunitario, nell’ipotesi in cui diversi paesi contribuiscano alla produzione di un bene, l’origine del prodotto medesimo è stabilita in base al luogo in cui avviene l’ultima trasformazione sostanziale, ossia l’ultima lavorazione economicamente giustificata che persegua come obiettivo la fabbricazione di un prodotto nuovo. Ecco dunque che, se detto luogo spesso coincide con la sede del fabbricante dell’alimento, occorre rilevare che, qualora si seguisse l’impostazione fornita dal diritto doganale e ci si limitasse ad indicare il luogo di origine, le richieste di maggiore trasparenza degli alimenti verrebbero frustrate. Proprio per tale ragione, la definizione del luogo di provenienza definito come qualunque luogo indicato come quello da cui proviene l’alimento, ma che non coincide né con il Paese d’origine, come individuato nel codice doganale comunitario, né con la sede dell’operatore alimentare riportata in etichetta si aggiunge alla definizione di Paese d’origine. Tuttavia, nonostante la complessità della sua definizione, il riferimento al luogo di provenienza, se può apparire utile ai fini della trasparenza del prodotto alimentare, rischia però di essere di difficile applicazione. Ecco dunque che, in tale contesto, l’art. 26 del nuovo regolamento, al fine di trovare un punto d’incontro tra le diverse esigenze, ha previsto la possibilità di scegliere tra luogo di origine e luogo di provenienza; inoltre, in un primo tempo, l’obbligo di indicazioni è stato limitato a determinate ipotesi (ed in particolare, ai prodotti che, per le indicazioni riportate in etichetta, potrebbero ingenerare rischi di confusione nel consumatore sulla provenienza reale dell’alimento (art. 26 par. 2. lett. a), alle carni vendute tali quali (art. 26 par. 2 lett. b) e ai prodotti per i quali viene indicato un luogo di origine o provenienza differente da quello dell’ingrediente primario (art. 26 par. 3 con riferimento a quest’ultima ipotesi è disposta l’adozione degli atti di esecuzione da parte della Commissione).