Una volta appurato che l’attività degli enti di certificazione della qualità si sostanzia nella verifica dell’applicazione, da parte dell’impresa, di determinati standards tecnici, occorre rivolgere l’attenzione sul contratto di certificazione della qualità.

Dall’esame della modulistica in uso e dalla normativa tecnica di riferimento, emerge che il contratto di certificazione della qualità può essere definito come il contratto con cui una parte terza indipendente (che opera, cioè, in modo imparziale senza conflitti di interesse) assume l’obbligo di svolgere l’attività di certificazione della qualità verso un corrispettivo in denaro.

Tale attività comprende una serie di atti e comportamenti diretti e verificare la conformità di un prodotto, servizio, sistema o figura professionale agli standard previsti dalla normativa di riferimento. L’atto fondamentale di questa articolata attività consiste nel rilascio o nel diniego della certificazione. Solitamente al rilascio della certificazione segue un’ulteriore attività di controllo finalizzata a consentirne il mantenimento.

In altri termini ancora, il contratto di certificazione rappresenta lo strumento giuridico con cui un ente autorizzato, verso il pagamento di un corrispettivo in denaro da parte dell’impresa committente, si obbliga allo svolgimento di un’attività d’ispezione e verifica della conformità dei prodotti standards predefiniti e al conseguente rilascio di una dichiarazione di conformità (certificazione di qualità) o di non conformità.

Si tratta di una figura contrattuale nata dalla prassi che trae la propria origine dall’evoluzione e dall’adeguamento degli strumenti giuridici alle mutevoli e complesse esigenze poste dalla realtà economica e sociale. Essa, in quanto espressione creativa dell’autoregolamentazione, si colloca quindi nell’ambito dei contratti atipici e innominati, che trovano il proprio fondamento nel principio dell’autonomia contrattuale posto dall’art. 1322, comma 2 c.c.

Il contratto di certificazione produce effetti obbligatori e presenta normalmente carattere bilaterale, oneroso e non formale, seppure nella prassi esso viene sistematicamente stipulato per iscritto. Inoltre, poiché il certificatore è tenuto ad eseguire prestazioni periodiche, il contratto di certificazione è riconducibile alla categoria dei contratti di durata, a tempo determinato o indeterminato, ferma restando anche in questa ipotesi la validità temporale delle certificazioni, e sempre fatta salva la possibilità di rinnovo ove ne perdurino i presupposti.

La prestazione principale dovuta dal certificatore consiste sempre e comunque un’attività di verifica e del conseguente rilascio o diniego della relativa certificazione.
Solitamente le condizioni generali del contratto di certificazione prevedono un sistema interno di composizione delle controversie circa le decisioni assunte dal certificatore e in generale sull’attività svolta. Sono altresì quasi sempre presenti clausole che deferiscono la risoluzione delle eventuali controversie ad arbitri irrituali, clausole che derogano la competenza territoriale dell’autorità giudiziaria attraverso la fissazione di foro esclusivo nel luogo di residenza dell’ente di certificazione nonché clausole di decadenza a sfavore dell’impresa richiedente la certificazione. Inoltre, spesso si riscontra la presenza di clausole che espressamente prevedono la facoltà, ovvero, il divieto per il certificatore di subappaltare l’intera parte dell’attività di certificazione.

In forza del contratto di certificazione nascono in capo al certificatore una pluralità di obbligazioni. In particolare, si possono essenzialmente individuare due obbligazioni principali: la prima, relativa alla c.d. fase istruttoria (la quale, ovviamente, è prodromica e strumentale a quella successiva), consiste nell’espletamento di un’attività di ispezione e verifica della conformità; la seconda consiste nell’emissione di un giudizio scritto sulla conformità ovvero non conformità riscontrata, con conseguente rilascio o non rilascio della relativa certificazione.

Occorre sottolineare quindi come il rilascio della certificazione non costituisca affatto obbligo del certificatore, essendo egli tenuto unicamente a garantire un giudizio circa la sussistenza o meno della conformità dell’oggetto della certificazione agli standard di riferimento. Si può quindi affermare che obbligo primario del certificatore consiste nel fornire una informazione completa e attendibile circa l’esistenza di determinate qualità del prodotto o del sistema.

Agli obblighi principali del certificatore si aggiungono obblighi accessori ulteriori e, in particolare di imparzialità, di un’adeguata competenza tecnica e di trasparenza. Tra le obbligazioni accessorie riconducibili al principio di buona fede oggettiva (art. 1376 c.c.) si possono ancora menzionare quelle di riservatezza e segretezza, di non subappaltare, di non svolgere attività di consulenza, di informazione e di comunicazione (ad esempio, sotto questo profilo, rientra tra gli obblighi accessori del certificatore anche quello di richiedere tutta la documentazione ritenuta necessaria ovvero di effettuare verifiche supplementari ai fini dello svolgimento del proprio compito).

L’impresa committente, oltre all’obbligo di pagare il corrispettivo pattuito, è tenuta a tutta una serie di comportamenti di “collaborazione” al fine di consentire lo svolgimento dell’attività di valutazione, che vanno dagli obblighi di informazione e comunicazione a quelli di consentire l’accesso in qualsiasi momento sia alle documentazioni e ai registri aziendali, sia ai locali oggetto delle verifiche. Tali obblighi, seppur espressamente elencati nelle condizioni generali di contratto e, di solito, opportunamente integrati dalla specifica normativa tecnica relativa alla valutazione da attuare, sono anch’essi individuabili in virtù dell’operatività del principio di buona fede quale fonte di integrazione del contenuto contrattuale.

Tra gli obblighi accessori dell’impresa committente si possono menzionare (ma, in tal caso, solo se espressamente previsti nel contratto di certificazione) quelli di sottoporsi a meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie o, comunque, derogatori rispetto a quelli ordinari nonché quelli di assunzione del rischio e/o manleva in caso di responsabilità del certificatore.
Proseguendo l’indagine sulle caratteristiche generali e fondamentali del contratto di certificazione, occorre constatare come il contratto di certificazione della qualità rientri nell’ampia categoria dei contratti di impresa e generalmente tra imprese. Si tratta di contratti standardizzati, le cui condizioni generali, integralmente predisposte dall’ente di certificazione, vengono definite in accordo a norme nazionali e internazionali contenute in un regolamento generale, di solito integrato da più specifici regolamenti particolari, che descrivono le condizioni e le procedure supplementari, se presenti, in funzione del singolo schema di certificazione da applicare.

Le trattative sono quindi fortemente limitate, se non addirittura del tutto assenti: il procedimento di formazione del contratto comincia con la richiesta di certificazione da parte dell’impresa (anch’essa integralmente predisposta dall’ente certificatore) che, talvolta, equivale già a conferma dell’accettazione delle condizioni contrattuali. Più spesso, però, l’impresa deve poi compilare un apposito modulo di accettazione dell’offerta, a cui va allegato il proprio manuale di qualità e ogni altra eventuale documentazione necessaria per schemi specifici. È altresì possibile che l’ente di certificazione si riservi di riesaminare la richiesta, per poi inviare all’impresa una conferma d’ordine o il contratto stesso che, a sua volta, l’impresa restituirà al certificatore debitamente firmato.

In ogni caso, il contratto di certificazione si perfeziona secondo la regola generale posta dall’art. 1326 c.c., e cioè nel momento in cui la richiesta, o il modulo di accettazione o, ancora, il contratto/conferma d’ordine perviene all’indirizzo dell’ente di certificazione.